Officina per l’Italia attualmente rappresenta un laboratorio politico pronto a trasformarsi in un partito?
Adolfo Urso,
ex An ed ex Pdl, ieri alla nascita di Officina per l’Italia c’era.
Oggi, intervistato da IntelligoNews, tratteggia i principi alla base del
nuovo laboratorio di idee della destra italiana, progetto finalizzato a
catalizzare il consenso attorno a quelle battaglie che, da sempre,
hanno contraddistinto il centrodestra. Ma «in chiave moderna, ariosa ed
europea». Partendo da Alleanza
nazionale? «Andando oltre…»
Adolfo Urso, ieri è stata battezzata Officina per l’Italia. Da dove partite e dove volete ad arrivare?
«Siamo partiti da una riflessione sul cosa si possa fare per
salvare l’Italia e per mettere in atto tutte quelle grandi riforme
sociali ed economiche, ma anche istituzionali, che purtroppo non sono
state realizzate nel corso degli ultimi vent’anni. L’Italia è ancora a
un passo dal tracollo e ha bisogno, più di ogni altro Stato europeo, di
liberare le energie del Paese per riattivare il motore della crescita.
Soprattutto a beneficio di coloro che oggi pagano il prezzo maggiore: i
giovani. La destra politica italiana oggi deve rappresentare la bandiera
del cambiamento realizzando un nuovo soggetto di centrodestra assieme a
tutte quelle culture che si riconoscono nel bipolarismo europeo ed
alternative alla sinistra. Senza alcun cedimento alla demagogia,
all’estremismo e al moderatismo se dovesse significare compromesso».
Officina per l’Italia attualmente rappresenta un laboratorio politico pronto a trasformarsi in un partito?
«Attualmente sì, Officina è un laboratorio politico e culturale i
cui componenti, proprio in questi giorni, stanno lavorando a un
manifesto per l’Italia che verrà presentato il prossimo 9 novembre».
Una data scelta non a caso.
«Esattamente. Il 9 novembre rappresenta una data importante tanto
per l’Europa quanto per l’Italia dal momento che si commemora la caduta
del muro di Berlino. Al nostro evento parteciperanno personalità ed
esponenti dell’economia, della cultura, della scienza e della politica
che si riconoscono in alcuni valori fondamentali del centrodestra».
Qual è la seconda fase?
«Successivamente verrà attivato un meccanismo di aggregazione
politica al fine di realizzare una Costituente partendo dall’esperienza
breve ma intensa e significativa di Fratelli d’Italia. Per accogliere
attorno a noi tutte quelle forze che vogliono costruire un nuovo
centrodestra libero da rancori, personalismi e nostalgie. E dalle
culture padronali, soprattutto».
Partendo anche dall’esperienza di Alleanza nazionale?
«Partendo da lì ma andando oltre. Alleanza nazionale non nacque
mai appieno, perché in concomitanza scese in campo Berlusconi con Forza
Italia, e così venne ridotto lo spazio di rappresentanza che ambiva a
raggiungere (quello di tutte le forze liberali, nazionali e cattoliche
alternative alla sinistra). Possiamo, dunque, riprendere la vocazione
originaria, ma per farlo è necessario prendere coscienza ed essere
consapevoli del fatto che la storia non si ripete e che non si possono
fare salti indietro nel tempo. Ora bisogna guardare avanti senza
voltarsi indietro».
Con i soliti noti?
«Non servono reduci di alcun tipo, ma solo innovatori seri e
determinati. Dunque una nuova classe dirigente, che noi dobbiamo
contribuire a formare, di giovani preparati e meritevoli».
Con quali “battaglie” pensate di recuperare il consenso?
«La nostra sarà una forza di centrodestra moderna, ariosa, ed
europea. Che al contempo sarà profondamente gaullista e autenticamente
riformatrice al fine di sburocratizzare l’amministrazione pubblica,
liberare le energie dell’impresa per i più giovani, ristabilire il
principio del merito e consentire al Paese di intraprendere la via della
crescita».
Come mai qui in Italia la destra soprattutto negli ultimi
anni non è riuscita ad affermarsi, cosa che al contrario proprio in
questi giorni sta accadendo in Francia con il Front National della Le
Pen?
«Perché si è esaurita quella spinta propulsiva del ’94 nel duello
estenuante e fratricida tra leader carismatici che via via son
diventati possessivi e padronali e che contrapponendosi non sono
comunque riuscire ad ottenere lo “scettro” del governo del Paese. E
anche per la mancanza della riforma presidenzialista, che avrebbe dato
uno sbocco naturale a questo confronto».
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