sabato 2 novembre 2013

Elezioni Ue, referendum sull'euro. Che ha perso molte delle sue certezze

Elezioni Ue, referendum sull'euro.
Che ha perso molte delle sue certezze

 

L'appuntamento con le urne della prossima primavera si avvicina con una crescente inflenza delle formazioni politiche euroscettiche, dal Front National al Freedom Party. Ma crepe si sono aperte anche nella percezione comune dell'opinione pubblica italiana o dell'establishment francese. E l'Italia dovrà gestire la navigazione difficile del semestre successivo al voto 

ROMA - Brutto segnale per l'euro se, anche dove, come in Francia e in Italia, la moneta unica è stata sempre quasi un articolo di fede, la fiducia traballa. Forse mai come questa volta le elezioni europee della prossima primavera si presentano come un evento non più quasi solo simbolico, ma politicamente rilevante. Per chi crede all'integrazione europea non è, necessariamente, una buona notizia. E, per l'Italia, chiamata a gestire il semestre comunitario immediatamente successivo al voto, cioè la seconda metà del 2014, si prepara una navigazione difficile. Le elezioni, infatti, hanno tutta l'aria di trasformarsi in un referendum informale sull'euro e la moneta unica non ci arriva in buona forma. Anche in un Paese come l'Italia, nel cui immaginario l'Unione Europea ha uno status privilegiato paragonabile a quello di Garibaldi, i sondaggi dicono che tre elettori su quattro sono insoddisfatti della moneta unica e meno di metà, ormai, pensa che essere ancora nell'euro fra 20 anni sarebbe un vantaggio.

E' assolutamente improbabile che questa diffusa sfiducia si trasformi, fra pochi mesi, in una maggioranza per le formazioni politiche anti euro, ma è molto probabile che il prossimo Parlamento europeo sia il primo ad avere una rilevante connotazione euroscettica: secondo gli esperti, almeno fino al 30 per cento dei seggi. Marine Le Pen, cui non difetta il fiuto politico, è già pronta a capitalizzare questa spinta. In testa nei sondaggi in Francia, la leader del
Front National è pronta a trovare un'alleanza organica con Geert Wilders, il cui Freedom Party è anch'esso in testa ai sondaggi olandesi, sulle tematiche comuni contro l'immigrazione e contro l'integrazione economica. Sulla stessa barca si possono trovare il Freedom Party austriaco (21 per cento dei voti alle prossime elezioni), i democratici svedesi, il Vlaams Belang del Belgio fiammingo. Marine Le Pen ha già detto che non si fida dei grillini italiani come degli indipendentisti dell'Ukip britannico, che considera la Lega di Maroni non abbastanza nazionale, che non vuol avere nulla a che fare con i nazisti greci di Alba dorata e, finora, non sembra avere contatti con gli euroscettici tedeschi dell'Afd. Ma sommando i suffragi probabili si configura già una minoranza di blocco euroscettica, inedita per il Parlamento di Strasburgo.

Finora, questa destra non è mai riuscita a superare le reciproche diffidenze nazionaliste, ma, oggi, sembra condividere - accanto al risentimento per l'immigrazione - una psicologia e un codice retorico antielitario, che condannano i politici tradizionali, come "venduti" ad una elite remota e globalizzata. Anche la tattica li unisce: il sistema è marcio, la società cammina verso il disastro e, dunque, ogni compromesso è un tradimento. E' lo stesso atteggiamento di base del Tea Party americano, che ha già mostrato come, pur non essendo in grado di realizzare idee e progetti, una minoranza determinata possa paralizzare un intero Paese.

Tanto più che, anche dall'altra parte, le certezze sono assai meno solide di un tempo. Se nessuno poteva dubitare, fino a ieri, dell'europeismo dell'opinione pubblica italiana, lo stesso si poteva dire, se non dell'elettorato, dell'establishment francese. Non più. Un libro di François Heisbourg, in queste settimane, ha rotto l'incantesimo. Presidente dell'Istituto di studi strategici a Londra, Heisbourg è stato al centro di più di una polemica e non è, forse, il prototipo al 100 per cento degli intellettuali francesi. Ma è un rampollo a tutto tondo di quell'establishment: ex Ena, Legion d'onore, una cattedra all'Istituto di studi politici di Parigi, un passato ricco di collaborazioni in filo diretto con il Quai d'Orsay. Eppure il suo libro "La fine del sogno europeo" rompe una serie di tabù. Meglio, dice il prof. Heisbourg, farla finita con l'euro prima che l'euro ponga fine all'Europa. Invece di attendere che l'inevitabile "disintegrazione" della moneta comune trascini con sé tutta l'Unione, meglio un blitz franco-tedesco che, nel giro di un weekend, riporti tutti alle monete nazionali. Heisbourg resta un convinto federalista: la dissoluzione dell'euro dovrebbe consentire di ripartire da zero, ponendo le basi per istituzioni genuinamente comunitarie e federali. Si tornerebbe ad agganciare le monete in un serpentone, per poi ripartire, su basi più solide, con la moneta unica. Almeno in questo gusto per l'ingegneria astratta, Heisbourg si rivela un intellettuale francese d. o. c.

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